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Hikikomori: un fenomeno invisibile

Hikikomori: un fenomeno invisibile

La parola ”hikikomori” indica una grave forma di ritiro sociale, che può variare da pochi mesi ad anni, molto diffusa tra i giovani soprattutto nella fascia 14-30 anni. A differenza di altre problematiche psicologiche che sono molto vistose, l’hikikomori è un fenomeno invisibile, che si consuma all’interno delle mura domestiche.

È un termine giapponese che significa letteralmente “stare in disparte” e viene utilizzato per indicare coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale, rinchiudendosi nella propria stanza, limitando i contatti con il mondo esterno e perfino con i propri genitori.

All’inizio sembrava essere un fenomeno legato soltanto alla cultura giapponese, ma in realtà la casistica coinvolge ormai quasi tutti i paesi economicamente avanzati del mondo. In Italia si stima che ci siano circa 100 mila casi, anche se le statistiche non sono ufficiali.

Cause

Alla base c’è un disagio significativo rispetto alle richieste che il mondo esterno rivolge all’adolescente.

Secondo l’Associazione Hikikomori Italia sussistono svariate cause:

  1. Caratteriali: spesso questi ragazzi hanno difficoltà a costruire relazioni soddisfacenti e stabili nel tempo in quanto sono molto sensibili e inibiti socialmente.
  2. Familiari: secondo l’esperienza giapponese, l’assenza emotiva del padre e l’eccessivo attaccamento alla madre rappresentano due fattori che possono aumentare la probabilità di insorgenza dei disturbi  tipici dell’Hikikomori.
  3. Scolastiche: l’ambiente scolastico vissuto come ambiente ostile e la possibile presenza di episodi di bullismo costituiscono un fertile terreno per un comportamento di fuga e reclusione. Il rifiuto della scuola è un campanello d’allarme dell’Hikikomori.
  4. Sociali: gli hikikomori soffrono delle pressioni sociali e cercano di sfuggirle in tutti i modi.

Tutto questo comporta  una crescente difficoltà nel confrontarsi con la vita sociale. Inizia un circolo vizioso nel quale, mentre i suoi compagni vanno a scuola, si diplomano, scelgono l’università, vivono le esperienze della vita da adolescenti e poi da adulti, il soggetto hikikomori, auto-recluso nella sua stanza per anni, vede aumentare esponenzialmente il gap tra sè stesso e i gli altri.

Cosa non è l’hikikomori

Spesso il disturbo hikikomori viene confuso con altri disagi psichici, con i quali può avere aspetti simili, ma non  sovrapponibili.

Non è internet addiction: i ragazzi con dipendenza da internet  trascorrono la maggior parte del tempo davanti al computer, interagendo con altri giocatori durante le sessioni di gaming, mentre nell’hikikomori ciò non accade, il ragazzo si trova nella sua stanza isolato dal mondo esterno.

Non è fobia sociale: la causa iniziale non è paura di stare negli spazi aperti o chiusi (agorafobia) o timore del giudizio degli altri (fobia sociale). Sicuramente tali fobie potranno svilupparsi dopo un lungo periodo di clausura a casa, ma non sono la ragione per cui il ragazzo ha iniziato ad isolarsi.

Non è depressione: secondo  il Dott. Marco Crepaldi, creatore dell’Associazione Italiana Hikikomori, “sarebbe una banale semplificazione identificare l’hikikomori come una conseguenze di uno stato depressivo, l’hikikomori primario si sviluppa a prescindere da altre patologie, è uno stato di ritiro che non deriva da nessun disturbo mentale preesistente”.

Cosa fare in caso di Hikikomori?

Proprio perchè l’Hikikomori è un fenomeno invisibile, è necessaria, innanzitutto, un’attività di informazione capillare nelle scuole e sulla popolazione con l’obiettivo di far capire le ragioni di tali comportamenti estremi.

Offrendo aiuto ai familiari dei hikikomori mediante la creazione spazi e di gruppi di condivisione e di confronto, nei quali ritrovare fiducia in una terapia rivolta alla guarigione del loro caro, e un forte supporto psicologico.

La terapia inizia con il coinvolgimento di entrambi i genitori che faranno da motivatori, ma soprattutto da sostenitori per il graduale reinserimento nella vita sociale del figlio.

Lo psicoterapeuta  Matteo Zanon, che ha iniziato ad occuparsi di hikikomori nel 2014, afferma che “non bisogna voler cambiare gli hikikomori a tutti i costi, bensì cercare di far ripartire quel muscolo della relazione che si è un po’ strappato  e che i pazienti pensano di non poter più riattivare”.


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