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La profezia che si autoavvera nella vita quotidiana

La profezia che si autoavvera

In un altro articolo abbiamo introdotto il fenomeno della profezia che si autoavvera, identificando il ruolo che le nostre convinzioni possono svolgere nell’influenzare i nostri comportamenti e gli esiti degli eventi, portandoci a confermare le nostre ipotesi iniziali. In questo articolo vedremo alcuni esempi di questo fenomeno in ambiti diversi della vita quotidiana: nel posto di lavoro, nelle relazioni interpersonali, nella comunicazione, nell’umore.

Nel posto di lavoro

L’esempio forse più evidente di profezia che si autoavvera in questo contesto può essere visto in una delle prime interazioni che mettiamo in atto sul posto di lavoro: il colloquio per l’assunzione.

Immaginiamo due candidati che si presentano al primo colloquio con le stesse qualifiche, ossia la stessa istruzione, la stessa esperienza, le stesse competenze. Uno è estremamente fiducioso delle sue capacità e della possibilità di essere assunto mentre sostiene l’intervista, mentre l’altro si sente molto insicuro sulle sue capacità e prevede che non otterrà l’offerta di lavoro.

L’individuo fiducioso potrebbe entrare nella sala dove si svolge il colloquio con un bel sorriso e rispondere ad ogni domanda con sicurezza ed entusiasmo, mentre l’individuo più insicuro potrebbe assumere un atteggiamento più chiuso o impacciato e fare confusione nelle risposte.

Quale individuo è più probabile che ottenga il posto di lavoro? Chiaramente, l’intervistato che crede in se stesso e agisce in base a questa convinzione, ha maggiori probabilità di ottenerlo, rispetto all’intervistato che si aspetta già in partenza di fallire.

Il meccanismo della profezia che si autoavvera può giocare un ruolo importante anche dopo che si è stati assunti.

Immaginiamo di nuovo un dipendente al quale viene assegnato un nuovo compito che sente essere al di sopra delle sue capacità. Ad un certo punto potrebbe dire a se stesso: “Non c’è modo che io possa farlo. Sono convinto che non ce la farò”. Il dipendente potrebbe quindi, inconsapevolmente, infondere meno impegno nel progetto, pensando che sia una causa persa. Potrebbe anche evitare di chiedere aiuto agli altri poiché crede che il progetto sia comunque destinato a fallire.

Quando il progetto fallisce davvero, potrebbe pensare: “Avevo ragione, non potevo fare quel compito”, senza rendersi conto che il suo atteggiamento e il suo comportamento hanno, sin dall’inizio, quasi garantito che il progetto sarebbe naufragato.

Nelle relazioni interpersonali

Immaginiamo questa volta una donna che ha iniziato ad uscire da un po’ con un uomo con la convinzione che la frequentazione non sia una “relazione” o che questo ragazzo possa “impegnarsi sul serio”. Molto probabilmente, con questo assunto in testa, non prenderà molto sul serio la relazione e si asterrà dall’investire tempo e sforzi in essa.

Questa mancanza di investimenti potrebbe di conseguenza far dubitare il suo partner, il quale potrà sentirla “distante” o “poco disponibile”, quindi lo stesso, ugualmente, potrebbe non investire tempo ed energia nella frequentazione ed evitare conversazioni “più impegnative”.

Ipotizziamo il caso in cui il partner dovesse interrompere la relazione, la donna potrebbe pensare che alla fine aveva ragione: il partner non era intenzionato ad intraprendere una “relazione seria”.  La donna tuttavia potrebbe non aver considerato che la sua convinzione iniziale di “non aspettarsi molto” ha influenzato il suo e comportamento e molto probabilmente contribuito alla fine della frequentazione.

La  profezia che si autoavvera può portare anche ad esiti positivi nelle relazioni.

Immaginiamo questa volta un uomo che inizia ad uscire con una donna verso la quale si sente da subito “fortemente legato” e che pensa sia “quella giusta”. Dal momento che si aspetta che la relazione diventi sempre più importante, tratterà la sua partner con amore e rispetto e potrebbe investire più tempo ed energia nel loro rapporto.

Questo amore e questa attenzione aumenteranno le probabilità che anche lei sia soddisfatta e che investa un livello simile di tempo ed energia nella relazione.

La sua previsione iniziale che la relazione sarà lunga e felice lo porta a comportarsi in un modo a supporto della stessa; il risultato previsto, alla fine, avrà dunque molta più probabilità di realizzarsi.

Nella comunicazione

Gli esempi precedenti mostrano che le profezie che si autoavveraro possono avere effetti profondi sulle relazioni, e questi effetti sono prodotti o potenziati dai modi in cui comunichiamo con gli altri.

Quando infatti nutriamo delle convinzioni, delle aspettative o facciamo delle previsioni su qualcuno, alla fine, spesso, ci comportiamo in modo coerente con queste credenze.

Ad esempio, se ci viene detto che qualcuno che stiamo per incontrare è una persona meravigliosa, interessante, con una bella personalità, probabilmente ci predisporremo, inconsapevolmente, ad essere più amichevoli ed aperti del solito e a fare molte domande. Quando l’interlocutore percepirà il nostro interesse, probabilmente, risponderà a quest’ultimo fornendo risposte complete ed accurate alle nostre domande, in modo aperto e disponibile, andando a confermare le nostre aspettative. Pertanto, anche il suo comportamento seguirà le nostre azioni modellandosi di conseguenza.

Immaginando la situazione opposta, possiamo ipotizzare che, se stiamo per conoscere una persona che ci hanno descritto come scorbutica o antipatica, ci predisporremo all’incontro con un atteggiamento più chiuso, fornendo all’altro un’impressione di poco interesse. Questo nostro atteggiamento susciterà nell’altro un certo distacco che lo porterà ad interagire in modo più schivo, confermando ancora una volta la nostra ipotesi di partenza.

Nell’umore

Non sorprende che il meccanismo delle profezie che si autoavverano possa svolgere un ruolo importante anche sul nostro umore e contribuire, in qualche misura, anche allo sviluppo della depressione.

Un individuo molto triste e avvilito può infatti avere alcuni pensieri molto negativi su se stesso, pensieri come:

  • “Sono inutile”;
  • “Non riesco più a fare le cose che facevo prima”;
  • “Sono un incapace”;
  • “Non piaccio a nessuno, tutti pensano che io sia un perdente”
  • “Dal momento che non piaccio a nessuno, non ho amici.”

Pensieri come “Sono inutile”, e “Sono un incapace” possono portarlo a rinunciare ad ingaggiarsi nelle sfide quotidiane e nei vari compiti, non permettendogli di acquisire o migliorare le sue conoscenze e abilità favorendo la sua autoefficacia. Potrebbe pensare: “Che importa? Non funzionerà comunque”.

Se questi pensieri continuano a persistere per un lungo periodo di tempo, potrebbe avere sempre più conferme che non riesce più a fare le cose che faceva prima normalmente. Potrebbe a poco a poco diventare sempre più depresso e rinunciare a compiere anche i gesti più basilari, come cucinare, farsi la doccia, parlare con gli altri.

Pensieri come “Non piaccio a nessuno, tutti pensano che io sia un perdente”, e “Siccome non piaccio a nessuno, non ho amici”, possono facilmente trasferirsi nella realtà. Potrebbe evitare di interagire con gli altri poiché è sicuro che non apprezzeranno la sua compagnia, trovandosi alla fine senza amici.

È quindi evidente che il pensiero polarizzato eccessivamente sul negativo produce dei cicli insidiosi e pericolosi per il nostro benessere ed è in un certo senso “contagioso”. Convincersi di alcune cose può effettivamente contribuire a peggiorare la nostra qualità della vita.

Come ha detto l’artista e performer Khang Kijarro Nguyen “Se ti aspetti che la battaglia sia insormontabile, hai incontrato il tuo nemico. Sei tu”.

Dott.ssa Elisa Petetta, psicologa clinica (O.P.M. n.2986) e psicoterapeuta ad orientamento cognitivo-comportamentale.  Laureata cum laude all’Università di Bologna,  laureata in Scienze della comunicazione cum laude presso l’ateneo di Macerata.

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